[e-privacy] L'anonimato secondo il Telegraph (via il Sole 24 Ore)

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Sun Apr 6 15:49:11 CEST 2008


Da http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Tecnologia%20e%20Business/2008/\04/ambiguita-fascino-anonimo.shtml?uuid=75c5f3b4-015a-11dd-9cf0-00000e251029&ty\pe=Libero

L'ambiguità e il fascino dell'anonimo 
di Luca De Biase 

3 aprile 2008

Nòva 100 

Quando il quotidiano britannico Telegraph ha deciso di pubblicare una
lista dei 101 siti più utili, al secondo posto dietro all'ovvio
Google, non ha messo  Wikipedia o Bbc, Facebook o Twitter, ma
Anonymouse.  
Collegandosi ad Anonymouse l'utente si trova di fronte a tre semplici
possibilità: mandare una mail anonima, consultare il web senza farsi
tracciare  dai sistemi di registrazione del traffico, partecipare a
newsgroup senza  rivelare la propria identità digitale. Gli inglesi
apprezzano. La loro è la  civiltà più densamente popolata di sistemi
di controllo della vita quotidiana  (attraversando Londra si è filmati
in media da una sessantina di telecamere) e  la società più attenta
alla privacy.  
Non tutti gli altri popoli sono altrettanto coinvolti nel
problema. Anche  perché è chiaro che l'anonimato non è solo uno spazio
privato nel quale essere  lasciati in pace, ma anche una condizione a
partire dalla quale si possono  compiere azioni che danneggiano gli
altri. L'equilibrio tra il controllo e la  privacy è uno dei più
difficili da trovare nel mondo digitalizzato che si sta  formando. Ma
i problemi più ambigui non sono nei punti estremi di questa
alternativa.  
Chi vuole raccontare una storia vera e significativa in un paese che
sarebbe  orientato a censurarla può preferire l'anonimato. In quel
caso, compie  un'azione illegale ma giusta, almeno a suo parere. Il
che può avvenire in uno  stato le cui leggi vietano la libera
informazione, ma anche in un contesto  sociale omertoso, per motivi
diversi. Può essere un territorio di mafia. O può  essere un'impresa
particolarmente avversa al dialogo sulle vicende aziendali  tra i suoi
dipendenti e il mondo esterno. Chiaramente, in molti casi di questo
genere, un tasso di anonimato è garanzia di libertà di circolazione
dell'informazione. Ma il rischio è che di tale anonimato si abusi,
facendo  emergere notizie diffamatorie per altre persone o dannose per
la pacifica  convivenza della società nel suo complesso. È anche
chiaro che quando qualcuno  vuole esprimere opinioni e far circolare
informazioni vere e significative per  la sua comunità e le pubblica
affermando chiaramente il suo nome e cognome, si  prende una
responsabilità che può anche essere garanzia di credibilità.   Nella
Serenissima Repubblica di Venezia si accettavano le denunce anonime
contro usurai e bestemmiatori. Una forma di controllo sociale in un
contesto  nel quale la certezza del diritto era posta in pericolo da
bande di prepotenti  che nessuna polizia poteva controllare appieno:
ma la verifica delle denunce  era una fatica da servizi segreti. Nella
bacheca elettronica che qualche anno  fa fu aperta all'Enel si
accettavano anche i messaggi anonimi dei dipendenti:  molti
partecipanti volonterosi ma anche molte proteste in dibattiti spesso
dominati da cattivi pensieri. E The Well, newsgroup pionieristico
californiano, è partito con i migliori intellettuali di San Francisco
ed è  scaduto con l'introduzione dell'anonimato a una chiacchierata
informe, più  popolata ma meno interessante: sicché l'anonimato è
stato presto abbandonato.   Non sempre la quantità di messaggi che
l'anonimato garantisce vale il prezzo  della caduta di qualità che
l'irresponsabilità di chi li scrive può favorire.   Le regole
dovrebbero essere chiare: le community decidono come vogliono, le
società garantiscono la privacy, le leggi consentono il controllo
purché sia appannaggio solo della magistratura.
Ma nel mondo digitale, niente di ciò che le leggi prevedono è
perfettamente rispecchiato da ciò che le tecnologie consentono.  



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