[e-privacy] [GIUSEPPED'AVANZO: La grande rete del potere occulto]
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Sun Oct 29 16:10:35 CET 2006
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Subject: La grande rete del potere occulto
From: GIUSEPPED'AVANZO
Date: Fri, 27 Oct 2006 02:59:59 +0000
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Se si separa il grano dal loglio, e non ci si fa confondere dal rumore
delle chiacchiere, la trama di questo nuovo capitolo dello spionaggio
illegale - affare integralmente politico - non ha alcun mistero. E'
sufficiente saper leggere le impronte che i protagonisti "maggiori"
dell'affaire hanno lasciato sulle cose. Bisogna chiedersi: quali
informazioni abusivamente sottratte all'anagrafe tributaria sono state
utilizzate in pubblico? Contro chi? A quale fine? E' la prima necessaria
scrematura. E' vero, tra le vittime delle intrusioni ci sono anche, a
quanto pare, calciatori e soubrette. Ma voi ne avete mai saputo qualcosa?
No, perché quelle notizie fiscali non sono state agitate in pubblico
contro di loro. Dunque, tra i ficcanaso dell'amministrazione delle finanze
ci sono degli scimuniti che, per curiosità invidia o vattelapesca,
gettano un occhio sul reddito della gente che vede allo stadio o in
televisione. Come è vero che, accanto agli scimuniti, appare un buon
numero di pitocchi che, per un biglietto da venti euro, "vende"
all'agenzia di investigazione privata il profilo finanziario e
patrimoniale di un cittadino-contribuente. Magari molto utile alla moglie
che, prossima al divorzio, vuol sapere quanto davvero guadagna il marito.
Fin qui, siamo sempre nel territorio degli abusi e dell'infedeltà, ma non
c'è nulla di politico. La politica - il fine politico - affiora quando si
scopre che tra gli "spiati" ci sono Prodi, Napolitano e Berlusconi. Non
tutti uguali, però. Perché gli "spioni" non riservano a tutti lo stesso
destino. Speculazioni con notizie riservate e abusive sulle finanze di
Berlusconi, alla vigilia del voto di aprile, nessuno ne ha lette. Nessuno
le ha sciorinate in pubblico. Un affondo, all'inizio dell'anno, contro il
futuro capo dello Stato invece c'è stato. Pallido, sconveniente, non
insistito. È soprattutto quel che accade a Prodi che ci fa comprendere
qual è la macchina che si è messa in moto; chi sono i macchinisti; qual
è l'obiettivo. Non sembra esserci alcun mistero. Le tracce elettroniche,
prova incontestabile dell'accesso clandestino, raccontano che la muffa
aggredisce Prodi in tre ondate. Tra il 21 e il 24 novembre 2005; il 22
gennaio 2006; tra il 30 marzo e l'8 aprile. Non è un lavoro di curiosi.
Non è fatica di chi apre il file "eccellente" e getta un occhio su una
schermata, magari su due, e passa ad altro. È opera professionale che
prende molto tempo, che richiede l'intrusione in più banche dati, che
pretende uno screening esaustivo del Prodi contribuente: informazioni sul
reddito, atti del registro tributario, partecipazioni societarie, atti di
compravendita. Di questo compito non si incarica un impiegato civile, ma -
a quanto riferiscono autorevoli fonti - un militare, un sottufficiale
della Guardia di Finanza. Che difficilmente si avventura in un'impresa
temeraria di questo genere senza aver ricevuto un ordine superiore. Anzi,
a sentire altre fonti vicine all'inchiesta, ci sarebbe già qualche
"ammissione" su quegli "ordini venuti dall'alto". Dov'è allora il mistero
di questo ultimo affaire spionistico? Possono ancora essere un mistero
inglorioso i passi storti consumati dentro la Guardia di Finanza? Abbiamo
potuto vedere ingrassare la "politicizzazione della sicurezza nazionale"
quasi mese dopo mese. Era sufficiente seguire le "strategie integrate" di
influenti network all'interno della Guardia di Finanza e del Sismi. Quasi
ingranaggi di un unico ordigno. Al servizio segreto trasmigrano ottocento
finanzieri e il patrimonio informativo dell'intelligence è alimentato
dalle notizie raccolte nel territorio dalle sezioni "I" (Informazione,
Intelligence) della Guardia di Finanza ed elaborate al centro dal II
Reparto. Dal servizio segreto si trasmettono alla Guardia di Finanza
richieste di informazioni, input, "obiettivi". I rapporti tra i vertici
dei due apparati sono così stretti che, appena qualche mese fa, il
direttore del Sismi Nicolò Pollari si lascia intercettare, nel corso
delle indagini milanesi, mentre utilizza il telefono cellulare di Emilio
Spaziante, capo di stato maggiore della Guardia di Finanza. È quel "gioco
grande" che, per cinque anni, ha alimentato l'ambizione di un inedito e
nascente potere, sbocciato nel corso della legislatura appena chiusa, con
l'integrazione tra lo spionaggio politico-militare del Sismi e
l'intelligence economico-finanziaria della Guardia di Finanza. Un potere
che, se capace di sopravvivere al cambio di regime, poteva diventare -
può ancora diventare - un moloch con cui una politica debole e un
capitalismo fragile dovrebbero fare i conti, stringere patti o subirne
umori e voglie, come nel silenzio di una politica timorosa o intimidita ha
scritto Repubblica, otto mesi fa. Nel silenzio assordante di leader
politici di prima e seconda fila che oggi, finalmente desti, chiedono che
si faccia qualcosa. In quel silenzio, e gliene va dato oggi atto, soltanto
Marco Minniti (adesso viceministro agli Interni) ebbe il coraggio di
levare la voce e proporre all'opinione pubblica una radiografia che ora
appare esatta forse più di quel che allora immaginava il suo autore.
Disse Minniti a Repubblica, era il 12 marzo: "Questa maggioranza e questo
governo hanno fatto una scelta disastrosa. Hanno politicizzato la nostra
sicurezza nazionale, privatizzandone interi pezzi. In nome di un interesse
politico di parte, hanno creato le condizioni perché si sviluppasse un
agglomerato oscuro fatto di agenzie di investigazione e polizie private in
combutta con infedeli servitori dello Stato, che a quell'interesse di
parte rispondono e che in nome di quell'interesse di parte si muovono, in
una logica di ricatto. È uno spettacolo spaventoso e per nulla antico. Al
contrario è assai moderno e vi si colgono i tratti propri delle derive
autoritarie anche di altre grandi democrazie moderne". Dov'è allora il
mistero? Da mesi è tutto sotto i nostri occhi. E il problema oggi non è
soltanto che cosa accaduto e per responsabilità di chi. Le
responsabilità politiche del governo Berlusconi sono evidenti, nonostante
il polverone. La questione che sembra ancora non trovare il giusto rilievo
nell'agenda politica del governo Prodi e della maggioranza che lo sostiene
è "che fare", come farlo, quando farlo? Si odono litanie farfalline,
sortite irrilevanti. Si immagina che l'oscurità che ha fatto di piombo la
qualità della democrazia nei cinque anni passati sia lavoro di poche
"mele marce" nel cesto mentre invece è della forma di cesto che ci si
dovrebbe occupare. Si dice: la magistratura faccia il suo lavoro.
Dimenticando che i tempi della giustizia sono lunghissimi, illuminano
fatti penalmente rilevanti e puniscono - quando puniscono - soltanto
responsabilità personali. È una macchina che soltanto impropriamente e
"per supplenza" affronta fenomeni e patologie. È la meno adatta a dare le
risposte concrete e immediate che appaiono necessarie per diradare la
nebbia spessa che sembra avvolgere la vita pubblica italiana. Si dice: il
Parlamento avvii una commissione d'inchiesta che abbia i poteri d'indagine
della magistratura. E con quali tempi, ammesso che il lavoro di questa
commissione sia più decente di quello di altre commissione del passato,
si giungerebbe a un esito utile? Sei mesi? Un anno? Per intanto, il moloch
se ne starà quieto ad attendere la sua fine o si difenderà come può e
come purtroppo sa? La verità è che nessuno ieri, nel gran chiasso
dichiaratorio, ha chiesto che il governo faccia subito la sua parte.
Garantisca subito, con gli strumenti a sua disposizione, l'affidabilità,
la correttezza e la trasparenza delle burocrazie della sicurezza
infettate. Promuova il governo, subito, una commissione d'inchiesta
amministrativa che possa restituire dignità a quelle istituzioni dello
Stato e serenità a chi, come tutti noi, deve sentirsene protetto. (27
ottobre 2006)
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