[e-privacy] Rodotà

Nomen Nescio nobody at dizum.com
Sun Mar 11 15:40:04 CET 2007


Date:         Wed, 7 Mar 2007 17:36:27 +0100
Subject: presentazione di Rodota' al convegno interparlamentare
To: FORUM at ISOC.IT

Con piacere vi passo questa stimolante lettura 
con il cui autore ho la fortuna di lavorare 
assieme nel "comitato Nicolais" sulla Internet 
governance. Questa presentazione e' stata fatta 
in occasione di un incontro internazionale della 
Unione interparlamentare svoltosi recentemente a 
Roma.


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Inter-Parliamentary Union 
International Conference

Stefano Rodotà

The Role of Parliaments in the Development in the Information    Society

Keynote Speech


Qual è il destino dei parlamenti nell'età 
dell'informazione e della comunicazione? Alcuni 
anni fa, quando cominciò il dibattito sulla 
democrazia elettronica, sembrava che le nuove 
tecnologie avrebbero portato ad una progressiva 
scomparsa della democrazia rappresentativa, 
sostituita da forme sempre più diffuse di 
democrazia diretta. Nel nuovo agorà elettronico i 
cittadini avrebbero potuto prendere sempre la 
parola e decidere su tutto.
La memoria dell'antica Atene e il modello dei 
town meetings del New England apparivano come la 
forma nuova della democrazia, con un intreccio 
tra antico e nuovo che avrebbe via via cancellato 
il ruolo dei parlamenti. Nel 1994, un influente 
uomo politico americano, Newt Gingrich, che 
sarebbe diventato Speaker della Camera dei 
Rappresentanti, parlava di un "Congresso 
virtuale", che avrebbe sostituito il Congresso 
tradizionale, affidando al voto elettronico di 
tutti i cittadini anche le scelte legislative.
Oggi queste ipotesi sono lontane, e la democrazia 
elettronica segue strade diverse da quelle di una 
brutale e ingannevole semplificazione dei sistemi 
politici. Ma questo non vuol dire che i 
parlamenti possano trascurare le grandi novità 
determinate dalle tecnologie dell'informazione e 
della comunicazione, che incidono profondamente 
sul loro ruolo e sul modo in cui si struttura il 
loro rapporto con la società. Non siamo di fronte 
a semplici strumenti tecnici, ma ad una forza 
potente, la tecnologia nel suo complesso, che sta 
trasformando in modo radicale le nostre società. 
Stiamo passando, su scala mondiale, da un 
equilibrio tecnologico all'altro. E un grande 
antropologo, Marvin Harris, ha sottolineato che 
""il momento decisivo per una scelta consapevole 
si ha soltanto durante la fase di transizione da 
un modo di produzione all'altro. Dopo che una 
società ha scelto una particolare strategia 
tecnologica ed ecologica per risolvere il 
problema dell'efficienza declinante, può essere 
impossibile modificare le conseguenze di una 
scelta poco intelligente per un lungo periodo 
futuro". Il primo, grande compito dei parlamenti, 
oggi, è dunque quello di cogliere questo momento, 
di compiere tempestivamente le scelte 
intelligenti necessarie perché l'insieme delle 
tecnologie si risolva in un rafforzamento 
complessivo della democrazia.
Sono divenute chiare alcune linee di analisi e di 
intervento, che possono essere così riassunte:
-evitare che le nuove tecnologie 
dell'informazione e della comunicazione portino 
ad una concentrazione invece che ad una 
diffusione del potere sociale e politico;
-evitare che le nuove tecnologie, invece di 
favorire una vera partecipazione dei cittadini, 
si consolidino come la forma del populismo del 
nostro tempo, con un continuo scivolamento verso 
la democrazia plebiscitaria;
-evitare che ci si trovi sempre più visibilmente 
di fronte a tecnologie del controllo invece che a 
tecnologie delle libertà;
-evitare che nell'età dell'informazione e della 
comunicazione nuove disuguaglianze si aggiungano 
a quelle esistenti;
-evitare che il grande potenziale creativo delle 
nuove tecnologie porti non ad una diffusione 
della conoscenza come grande bene comune, ma a 
forme insidiose di privatizzazione.
  Pure l'età digitale, dunque, ha i suoi peccati, 
sette come vuole la tradizione, e che sono stati 
così enumerati: 1) diseguaglianza; 2) 
sfruttamento commerciale e abusi informativi; 3) 
rischi per la privacy;  4) disintegrazione delle 
comunità; 5) plebisciti istantanei e dissoluzione 
della democrazia; 6) tirannia di chi controlla 
gli accessi; 7) perdita del valore del servizio 
pubblico e della responsabilità sociale. Non 
mancano, tuttavia, le virtù, prima tra tutte 
l'opportunità grandissima di dare voce a un 
numero sempre più largo di soggetti individuali e 
collettivi, di produrre e condividere la 
conoscenza, sì che ormai molti ritengono che la 
definizione che meglio descrive il nostro 
presente, e un futuro sempre più vicino, sia 
proprio quella di "società della conoscenza". Al 
di là delle immagini e delle metafore, i 
parlamenti non sono chiamati a scegliere tra il 
bene e il male. Di fronte ad una realtà 
complessa, nella quale convivono società della 
conoscenza e società del rischio, i parlamenti 
devono ribadire la loro storica e  insostituibile 
funzione di custodi della libertà e 
dell'eguaglianza.
  Non sono riferimenti retorici. La tecnologia è 
prodiga di promesse. Alla democrazia offre 
strumenti per combattere l'efficienza declinante, 
e arriva fino a proporne una rigenerazione. Ma, 
se guardiamo al mondo reale, alle tendenze in 
atto, rischiamo di incontrare sempre più spesso 
un uso delle tecnologie che rende capillare e 
continuo il controllo dei cittadini. A queste 
tendenze bisogna reagire, non solo per sfuggire 
ad una sorta di schizofrenia istituzionale che 
spinge verso la costruzione di un mondo diviso 
tra le speranze di libertà e l'insidia della 
sorveglianza. E' necessario soprattutto 
considerare realisticamente le dinamiche sociali, 
a cominciare da quelle che rischiano di produrre 
nuove diseguaglianze.
Questo problema viene solitamente indicato con 
l'espressione digital divide, ed effettivamente 
l'uso delle tecnologie, di Internet in primo 
luogo, produce stratificazioni sociali, 
l'emergere  di nuove categorie di haves e di have 
nots, di abbienti e non abbienti proprio per 
quanto riguarda la fondamentale risorsa 
dell'informazione. Ma le più attendibili ricerche 
sul digital divide mettono in evidenza che il 
divario tra paesi sviluppati e paesi meno 
sviluppati, per quanto riguarda l'accesso ad 
Internet, non può essere esaminato riferendosi 
prevalentemente alle differenze di reddito. Pur 
rimanendo profondissime, infatti, le distanze 
riguardanti Internet tendono a ridursi più 
rapidamente di quelle relative alla ricchezza. 
Questo vuol dire che i fattori influenti non sono 
tanto quelli economici, quanto piuttosto quelli 
sociali e culturali, sì che l'attenzione deve 
essere in particolare rivolta alle politiche 
dell'accesso ad Internet, tuttavia in una 
prospettiva che non si limiti a favorire 
l'accesso in sé, ma si preoccupi delle modalità 
d'uso e dei contenuti ai quali è possibile 
accedere. Altrimenti, non solo la propensione 
all'accesso ad Internet rimane più bassa per i 
paesi e i ceti più svantaggiati, ma le fonti 
della disuguaglianza persistono e tendono ad 
ampliarsi.
Questa è una indicazione assai importante per le 
politiche di sviluppo che i parlamenti devono 
promuovere, e per la cooperazione internazionale. 
Quando, infatti, l'accesso non è considerato 
soltanto nella prospettiva, pur importantissima, 
di assicurare a tutti la connettività alla rete, 
esso deve essere pensato in termini di accesso 
alla conoscenza, con evidente incidenza sulle 
politiche della formazione, della libertà, della 
proprietà.
Conoscenza è parola che sintetizza le possibilità 
di accedere alle fonti, di elaborare il 
materiale, raccolto, di diffondere liberamente le 
informazioni. Già nell'articolo 19 della 
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo 
delle Nazioni Unite si è affermato il diritto di 
ogni individuo alla libertà di opinione e di 
espressione "e quello di cercare, ricevere e 
diffondere informazioni e idee attraverso ogni 
mezzo e senza riguardo a frontiere". Oggi questo 
diritto è in pericolo per la pretesa di molti 
Stati di controllare Internet, per l'esercizio di 
veri poteri di censura, per le condanne di autori 
di quelle particolari comunicazioni in rete che 
sono i blog. Questa situazione non può essere 
ignorata, soprattutto perché alcune grandi 
società - Microsoft, Google, Yahoo!, Vodafone - 
hanno annunciato per la fine dell'anno la 
pubblicazione di una "Carta" per tutelare la 
libertà di espressione su Internet. I parlamenti 
non possono accettare che la garanzia del free 
speech, che gli Stati Uniti vollero affidare al 
Primo Emendamento della loro Costituzione, 
divenga materia di cui si occupano solo i 
privati, che evidentemente offriranno solo le 
garanzie compatibili con i loro interessi. Sono 
urgenti in questa materia iniziative dei 
parlamenti nazionali, tuttavia coordinate tra 
loro dato il carattere transnazionale dei 
fenomeni da regolare, e tenendo conto che 
nell'Internet Governance Forum, organizzato 
dall'Onu alla fine dell'anno scorso, è stata 
esplicitamente indicata la priorità rappresentata 
dalla elaborazione di un Internet Bill of Rights.
Internet è il più grande spazio pubblico che 
l'umanità abbia conosciuto, dove si sta 
realizzando anche una grande redistribuzione di 
potere.. Un luogo dove tutti possono prendere la 
parola, acquisire conoscenza, produrre idee e non 
solo informazioni, esercitare il diritto di 
critica, dialogare, partecipare alla vita comune, 
e costruire così un mondo diverso di cui tutti 
possano egualmente dirsi cittadini. Ma tutto 
questo può diventare più difficile, per non dire 
impossibile, se la conoscenza viene chiusa in 
recenti proprietari senza considerare proprio la 
novità della situazione che abbiamo di fronte e 
che impone di guardare alla conoscenza come il 
più importante tra i beni comuni.
La questione dei beni comuni è essenziale. Parole 
nuove percorrono il mondo - open source, free 
software, no copyright - dando il senso di un 
cambiamento d'epoca. Oggi, infatti, il conflitto 
tra interessi proprietari e interessi collettivi 
non si svolge soltanto intorno a risorse scarse, 
in prospettiva sempre più drammaticamente scarse 
come l'acqua. Nella dimensione mondiale 
assistiamo ad una creazione incessante di nuovi 
beni, la conoscenza prima di tutto, rispetto ai 
quali la scarsità non è l'effetto di dati 
naturali, ma di politiche deliberate, di usi 
impropri del brevetto e del copyright, che stanno 
determinando un movimento di "chiusura" simile a 
quello che, in Inghilterra, portò alla recinzione 
delle terre comuni, prima liberamente 
accessibili. Questa scarsità artificiale, creata, 
rischia di privare milioni di persone di 
straordinarie possibilità  di crescita 
individuale e collettiva, di partecipazione 
politica.
La sfida lanciata ai parlamenti non riguarda 
soltanto la necessità di trovare nuovi equilibri 
tra logica della proprietà e logica dei beni 
comuni. Investe lo stesso modo d'intendere la 
cittadinanza. La vera novità democratica delle 
tecnologie dell'informazione e della 
comunicazione, infatti, non consiste nel dare ai 
cittadini l'ingannevole illusione di partecipare 
alle grandi decisioni attraverso referendum 
elettronici. Consiste nel potere dato a ciascuno 
e a tutti di servirsi della straordinaria 
ricchezza di materiali messa a disposizione dalle 
tecnologie per elaborare proposte, controllare i 
modi in cui viene esercitato il potere, 
organizzarsi nella società. Con questo vasto 
mondo - in cui la democrazia si manifesta in 
maniera "diretta", ma senza sovrapporsi a quella 
"rappresentativa" - i Parlamenti devono trovare 
nuove forme di comunicazione, attraverso 
consultazioni anche informali, messa in rete di 
proposte sulle quali si sollecita il giudizio dei 
cittadini, procedure che consentano di far 
giungere in parlamento proposte elaborate da 
gruppi ai quali, poi, vengano riconosciute anche 
possibilità di intervento nel processo 
legislativo. La rigida contrapposizione tra 
democrazia rappresentativa e democrazia diretta 
potrebbe così essere superata, e la stessa 
democrazia parlamentare riceverebbe nuova 
legittimazione dal suo presentarsi come 
interlocutore  continuo della società.
In questa prospettiva, i parlamenti debbono 
rafforzare il loro ruolo in diverse direzioni. 
Promuovere la trasparenza nell'intero sistema 
istituzionale, rendendo così più efficace il 
controllo diffuso da parte dei cittadini, la loro 
"cittadinanza attiva", che diventa anche un 
strumento essenziale  per la lotta alla 
corruzione. Non dimentichiamo quel che disse 
Louis Brandeis, il grande giudice della Corte 
suprema degli Stati Uniti: "la luce del sole è il 
miglior disinfettante". Debbono agire come centro 
che promuove la conoscenza dei cittadini sulle 
questioni socialmente rilevanti. Debbono divenire 
il luogo istituzionale dove si svolge con 
continuità la valutazione degli effetti delle 
nuove tecnologie, riprendendo e aggiornando 
l'esperienza del "technology assessment". Ma 
debbono soprattutto impedire che le esigenze di 
lotta a terrorismo e criminalità e le richieste 
del sistema economico portino alla nascita di una 
società della sorveglianza, della selezione e del 
controllo, alterando quel carattere democratico 
dei sistemi politici di cui proprio i parlamenti 
sono i primi ed essenziali garanti.
Proprio le tecnologie, con la loro apparente 
neutralità, hanno rafforzato le spinte verso la 
creazione di gigantesche raccolte di dati 
personali. La politica sta delegando alla tecnica 
la gestione dei più diversi aspetti della 
società, dimenticando, ad esempio, un principio 
chiaramente indicato nell'articolo 8 della 
Convenzione europea dei diritti dell'uomo. In 
questa norma si ammettono limitazioni dei diritti 
per diverse finalità, compresa la sicurezza 
nazionale, a condizione però che si tratti di 
misure compatibili con le caratteristiche di una 
società democratica.  I parlamenti devono 
esercitare con il massimo rigore questa funzione 
di controllo, senza delegarla ad altri organi 
dello Stato, fossero pure le corti 
costituzionali. Solo così possono evitare la 
trasformazione dei cittadini in sospetti, ed 
impedire che, con l'argomento della difesa della 
democrazia, sia proprio la democrazia ad essere 
perduta.
Queste considerazioni possono apparire poco 
realistiche, soprattutto se si considera la 
notevole riduzione di poteri che, per diverse 
ragioni, i parlamenti hanno conosciuto in questi 
anni. Il potere si è notevolmente spostato nella 
direzione dei governi, molte possibilità di 
azione sono ormai escluse dal fatto che la sede 
delle decisioni si colloca fuori dagli Stati 
nazionali. Ma proprio la riflessione sulle 
tecnologie ci indica la possibilità di un cammino 
diverso.
Sulla scena nazionale ed internazionale compaiono 
attori sempre più numerosi. Si stenta a trovare 
un centro del sistema istituzionale, tanto che si 
è parlato di uno "Stato a rete", sottolineando 
proprio il fatto che le tecnologie promuovono la 
crescita di una molteplicità di centri di 
decisione che riescono ad agire grazie alle forme 
di collegamento via via apprestate dallo sviluppo 
delle tecnologie dell'informazione e della 
comunicazione. Ma l'osservazione della realtà ci 
dice che queste tecnologie non producono soltanto 
forme di policentrismo, di distribuzione dei 
tradizionali poteri sovrani tra soggetti non 
gerarchizzati. Rendono possibile anche 
centralizzazione e concentrazione dei poteri, 
esercizio di controlli di intensità senza 
precedenti. Questa deriva pericolosa può essere 
interrotta se i parlamenti riusciranno a 
sottrarre la politica alla seduzione di una 
tecnologia che deresponsabilizza, che si presenta 
come un rifugio dove la politica sfugge alla 
difficoltà delle scelte, ed utilizzeranno, 
invece, proprio le tecnologie dell'informazione e 
della comunicazione  per far sì che le scelte 
possano tornare ad essere patrimonio di soggetti 
visibili, responsabili, controllabili.
La politica come "rete", peraltro, offre 
all'antica istituzione parlamentare non una 
occasione di ringiovanimento, ma la possibilità 
di collegamenti che consentano ai diversi 
parlamenti, al di là delle frontiere, la comune 
consapevolezza dei problemi da affrontare. La 
cooperazione tra i parlamenti non è più una 
formula, ma una opportunità concreta che nasce 
dalla crescente possibilità di conoscenze comuni, 
di circolazione continua di informazioni. Da qui 
può nascere una nuova sfera pubblica mondiale, 
non più consegnata alle sole dinamiche dei 
mercati, ma riguadagnata alla logica dei poteri 
democratici.


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Ing. Stefano TRUMPY
CNR - Istituto di Informatica e Telematica

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