[e-privacy] Reati commessi col mezzo della stampa - Diffamazione - Responsabilità civile del content provider

Avv. Barbara Gualtieri barbaragualtieri at libero.it
Wed May 22 17:05:10 CEST 2002


interssante sentenza
Si prevede l'applicazione analogica della norma dell'art.11
L. n.47/48 al content provider, secondo la quale "per i reati commessi col
mezzo della stampa sono civilmente responsabili in solido con gli autori del
reato e fra di loro, il proprietario della pubblicazione e l'editore".
Affermando che diversamente argomentando, si otterrebbe una ingiustificata
disparità di trattamento tra la tutela di diritti violati on líne e quelli
violati con altri mezzi di diffusione (off line) e venendosi, inoltre, a
riconoscere la possibilità di esercizio, senza alcun controllo, di
un'attività che può essere fonte di danni di rilevante entità per il numero
potenzialmente assai elevato dei destinatari dell'informazione telematica.



 Tribunale Civile di Bologna Sentenza 14 giugno 2001 n.3331/2001 (Sentenza
inedita)

Reati commessi col mezzo della stampa - Diffamazione - Responsabilità civile
del content provider.




      ****


Venendo al merito, la dott.ssa Musti ha svolto le funzioni di P.M. nel
procedimento penale promosso, davanti al Tribunale di Bologna, nei confronti
di Marco Dimitri, di Piergiorgio Bonora, e di altri adepti della setta
satanica "I bambini di satana", imputati di reati gravissimi, tra cui il
sequestro di persona e la violenza carnale in danno di minori.
Il procedimento si è concluso con l'assoluzione di tutti gli imputati e la
decisione è stata confermata in sede di gravame (v. sentenza Trib. Bologna
n.210/97 prodotta da Roberto Bui).
La vicenda ha avuto ampio eco sulla stampa e, nel 1997, la Castelvecchi
Editoria pubblicò il libro di Luther Blisset "Lasciate che i bimbi -
Pedofilia. un pretesto per la caccia alle streghe", che nel capitolo di 32
pagg. dal titolo "Bambini di Satana: anatomia di una montatura!" affronta,
con taglio critico, la vicenda giudiziaria di Marco Dimitri e degli altri
adepti alla setta. Allo stile asciutto della cronaca giornalistica si
alterna quello personale dell'autore dello scritto volto alla critica
dell'attività giudiziaria che portò alla formulazione dell'accusa a carico
degli imputati.
Ciò posto, si tratta di verificare se i passi del libro, indicati in
citazione, rientrino nel legittimo esercizio de1 diritto di cronaca e di
critica giudiziaria come sostenuto dalle società convenute e dal Bui, o,
invece, costituiscano illecita violazione della reputazione, e dell'identità
personale della dott.ssa Musti.

E' principio ormai consolidato in giurisprudenza che la divulgazione a mezzo
stampa di notizie lesive dell'onore, possa considerarsi lecita espressione
del diritto di cronaca, e quindi non comportare responsabilità civile per
violazione del diritto all'onore, qualora ricorrano tre condizioni: a)
utilità sociale dell'informazione; b) verità oggettiva, o anche solo
putativa, purché frutto di diligente lavoro di ricerca; c) forma civile
dell'esposizione dei fatti e della loro valutazione, che non ecceda lo scopo
informativo da conseguire e che sia improntata a leale chiarezza, evitando
forme di offesa indiretta (requisito c.d. della continenza) (v. per tutte la
nota sentenza della S.C. n.5259/84).

Meno ristretti sono i limiti del diritto di critica che costituisce
un'ulteriore forma di estrinsecazione della libertà di pensiero,
riconosciuta e protetta, quale diritto fondamentale, dall'art. 21 Cost..

La critica, a differenza della cronaca, che è esposizione obiettiva di fatti
allo scopo di informare il lettore, consiste in una attività essenzialmente
valutativa volta ad esprimere il proprio consenso o dissenso rispetto alle
opinioni o alle condotte poste in essere da altri.

All'esercizio del diritto di critica può, dunque, essere naturalmente
connessa anche una valenza aggressiva nei confronti del suo destinatario e
ad esso mal si attaglia il requisito della verità, in quanto un'opinione
difficilmente può essere accertata come vera o falsa.

Tuttavia, la critica, per essere legittima, deve trarre spunto da fatti
veri, e non artatamente manipolati per sostenere la stessa tesi critica.

E' poi pacifico, sia in dottrina che in giurisprudenza, che anche il diritto
di critica, che ben può riguardare l'attività giudiziaria, è soggetto al
limite della continenza della forma espositiva e del perseguimento
dell'interesse pubblico.

Sotto il primo profilo, il rispetto del limite si concretizza nella
correttezza del linguaggio, nel mancato uso di espressioni contumeliose, nel
divieto di accostamenti suggestivi. L'interesse del soggetto criticato alla
tutela del proprio onore, comporta, infatti, che la critica al suo operato o
alle opinioni da lui espresse debba essere misurata e quindi dotata della
minor efficacia lesiva possibile, rispetto al legittimo risultato di
valutazione o di censura che si intenda perseguire.

Occorre, quindi, analizzare, alla luce dei principi sopra esposti, i singoli
passi del libro "Lasciate che i bimbi" denunciati dall'attrice come lesivi
del suo onore e della sua immagine professionale, e che sono i seguenti:

a) il processo contro il gruppo bolognese dei Bambini di Satana
rappresenterebbe "una delle più vaste campagne repressive e giustizialiste
degli ultimi anni: una caccia alle streghe, come a Salem (Massachusset)
1692";

b) Lucia Musti occuperebbe "la prima fila dei fomentatori d'odio e degli
strateghi della tensione" (pag.39);

c) sarebbe "personaggio assetato di protagonismo e di luci della ribalta"
(pag.24);

d) "rilascia interviste e dichiarazioni allarmistiche un giorno sì e l'altro
pure" (pag.39) per "dare l'idea di una Bologna sotto assedio alla mercé di
satanismi in libertà pronti a sabotare la sua inchiesta. Questo affinché i
media la rappresentino come una prode Giovanna d'Arco" (pag.42);

e) come P.M. sarebbe stata pronta "ad incanalare e strumentalizzare" il
rancore sentimentale dell'ex fidanzata di uno degli imputati per farle
"vomitare un fiume in piena di particolari incredibili" (pag.30) ad indurre
la stessa teste a simulare un malore durante il dibattimento per impedire
alla difesa di interrogarla (pag. 50) a shockare e strumentalizzare un
bambino per indurlo a dire di essere stato vittima di atti di libidine
durante una messa nera (pag.48, 30, 31);

f) essa attrice verrebbe calunniosamente definita "magistrato arrivista"
(pag.30) "personaggio odioso ed insopportabile" (pag.43) "Torquemada"
(pag.43) sino all'invettiva finale "via alla poubelle de l'histoire! Musti,
odiosa e gracchiante viceprocuratora ha regalato al mondo uno dei più gravi
atti di persecuzione giudiziaria e culturale della storia delle sottoculture
giovanili. Voleva diventare la Di Pietro dell'intolleranza religiosa, ma non
si è accorta che già tramontava l'epoca in cui le masse applaudivano
adoranti le manie di protagonismo dei magistrati. Anche ella è destinata al
suddetto luogo di trotzkiana memoria" (pag. 106 ? par. "il caso è chiuso").

Orbene, per quanto concerne il presupposto che le notizie e gli argomenti
trattati nel libro rivestano interesse pubblico, nulla quaestio.

In merito agli altri presupposti, il Bui e le società convenute contestano
la valenza lesiva dei passi sopra riportati sul rilievo che l'attrice
avrebbe artatamente collegato "parole , frasi" e "periodi" del testo, in
maniera tale da farli erroneamente apparire come riferiti alla sua persona,
mentre invece, gli stessi passi, se correttamente letti nel foro contesto,
evidenzierebbero l'assenza di ogni intento denigratorio della sua immagine,
umana e professionale.

In ordine al passo sub a) assumono, in particolare, che la frase tra
virgolette non farebbe riferimento al processo contro i Bambini di Satana ed
alla dott.ssa Musti, bensì a tutti gli episodi riportati nel i libro. La
frase rappresenterebbe, in sostanza, la presentazione della tesi dell'autore
secondo cui la recente emersione, in molti paesi e non solo in Italia,
dell'allarme sociale sul tema della pedofilia, avrebbe costituito il
pretesto per scatenare alcune ingiustificate "cacce alle streghe"
proiettando sul mostro (il presunto pedofilo) tutte le angosce collettive di
una società insicura ed inquieta, e ciò indipendentemente dalla reale
necessità di proteggere l'infanzia dai possibili abusi degli adulti.

L'assunto non può essere condiviso.

E' vero che nel passo in oggetto non viene fatto espresso riferimento alla
dott.ssa Musti, ma tuttavia, costituendo il suo operato nell'ambito del
processo penale in questione, il tema di uno dei capitoli del libro, non può
porsi in dubbio che la predetta venga presa come esempio emblematico di quel
teorema sulla "caccia alle streghe" delineato nell'introduzione dell'opera.
E tale intento dell'autore è reso del tutto evidente nei passi riportati sub
a), b), c), g), ed e) ove si legge, ed il riferimento è esplicito e
testuale, che la dott.ssa Musti occupa "la prima fila dei fomentatori d'odio
e degli strateghi della tensione", è "personaggio assetato di protagonismo e
di luci della ribalta", "magistrato arrivista" che unitamente a preti e
pennivendoli avrebbe "incanalato e strumentalizzato" il rancore della teste
chiave "Simonetta" ex fidanzata di uno degli imputati, "proprio come la
caccia alle streghe di Salem" (che l'epiteto "magistrato arrivista" sia
riferito, alla pag. 30 del libro, all'attrice non è da porsi in dubbio,
riferendosi l'autore a coloro i quali hanno dato via all'inchiesta sui
Bambini di Satana).

Contrariamente a quanto sostenuto dalle convenute e dal Bui i passi
riportati, proprio se letti nel loro contesto, effettivamente descrivono la
dott.ssa Musti come facente parte di un asserito complotto tra la Curia di
Bologna, gli organi di informazione e le autorità inquirenti, volto alla
demonizzazione ed alla repressione di ogni devianza sociale o sessuale.
E'pertanto chiaro l'intento dell'autore di fornire un'immagine dell'attrice
come magistrato che ha esercitato l'azione penale non a tutela del pubblico
interesse per perseguire fatti gravissimi, ma per fini repressivi e per
motivi di personale tornaconto (per apparire quale prode "Giovanna d'Arco" -
sub d -) estranei alla sua funzione. La dott.ssa Musti viene, addirittura,
definita come "odiosa e gracchiante viceprocuratora" e la si accusa dio aver
regalato al mondo uno dei più gravi casi di persecuzione giudiziaria (.) e
ciò perché voleva diventare la Di Pietro dell'intolleranza religiosa"
(sub.G) tant'è che la sua persona viene persino accostata, in maniera
suggestiva, a quella del grande inquisitore Torquemada (pag. 43).
Cose che esulano sicuramente dai limiti di una corretta analisi critica
dell'attività giudiziaria.
Basti dire l'operato dell'attrice non viene giudicato erroneo o arbitrario
sulla base di una ragionevole valutazione di fatti veri. Ed infatti la tesi
dell'autore, secondo cui la dott.ssa Musi avrebbe perseguito scopi
antitetici a quelli giurisdizionali per dare sfogo a manie di protagonismo,
viene esposta senza il benché minimo supporto motivazionale, il che è sicuro
indice di una volontà di mera aggressione libellistica.

Per quanto riguarda, invece, il passo sub D), ove si legge che la dott.ssa
Musti "rilascia interviste e dichiarazioni allarmistiche un giorno si e
l'altro pure", lo stesso non sembra travalicare i limiti del diritto di
cronaca e di critica in quanto l'autore, sia pure in maniera colorita,
riferisce un fatto non del tutto lontano dal vero. E'infatti documentato in
causa che l'attrice ebbe molti contatti con la stampa in merito
all'andamento delle indagini ed alla ritenuta fondatezza della sua ipotesi
accusatoria.
Parimenti non lesivi appaiono alcuni dei passi sub E). A pag. 31 si legge
"Nei mesi successivi Simonetta (teste chiave dell'accusa) vomiterà un fiume
di particolari sempre meno credibili, tra cui l'omicidio rituale di un
immigrato africano, ucciso a coltellate e quello di un bimbo rom (.)".
L'autore si riferisce, dunque, esclusivamente alla teste "Simonetta", a suo
parere assolutamente inattendibile, ma non accusa l'attrice di avere indotto
la predetta a fare quelle rivelazioni che portarono all'apertura
dell'inchiesta. Come pure non risponde al vero che l'autore abbia sostenuto
che la dott.ssa Musti avrebbe indotto "Simonetta" a simulare un malore
durante il dibattimento, ed avrebbe shockato il piccolo Federico di soli due
anni per portarlo a riferire particolari agghiaccianti sulle presunte
violenze subite.

A pag. 50 l'autore si limita, infatti, a riferire dello svenimento, in aula,
della teste con conseguente interruzione del suo controesame da parte della
difesa, mentre a pag. 30 informa che, con il proseguire dell'inchiesta,
nell'opinione pubblica iniziò ad insinuarsi il dubbio che il piccolo
Federico non fosse credibile per essere "shockato e strumentalizzato".

Quanto sopra esposto non vale, tuttavia, a ridurre l'efficacia lesiva del
libro "Lasciate che i bimbi", ed, in particolare, del capitolo dedicato al
processo in questione e del paragrafo "Il caso è chiuso", pagg. 105?107. Non
è infatti contestabile che la lettura complessiva di quelle parti
dell'opera, in considerazione dei toni, degli argomenti e delle espressioni
ingiuriose adottate, offra un'immagine dell'attrice quale sorta di braccio
secolare della nuova inquisizione, magistrato privo di equilibrio e
professionalità, dedito al conseguimento della propria notorietà a scapito
dei diritti di libertà e di giustizia delle persone inquisite. Il che supera
chiaramente i limiti della serena ed obiettiva esposizione di fatti e della
corretta valutazione dell'operato della dott.ssa Musti, concretizzando una
indebita lesione della sua reputazione professionale e della sua identità
personale.

Privo di pregio è il riferimento del Bui e delle società convenute al
diritto di critica satirica.
Per satira si intendono quelle forme di espressione volte alla critica di
personaggi noti al pubblico o di episodi di significativo interesse
collettivo, mediante una rappresentazione idonea a suscitare ilarità che
renda palese il carattere dell'inverosimiglianza e dell'esagerazione.

Il che non ricorre nel caso di specie ove si consideri che la
rappresentazione dei fatti che emerge dall'opera in questione, esula dai
confini di una interpretazione forzata, buffa o maliziosa di un accadimento
reale per divenire, invece, allusione gratuita a circostanze prive del
benché minimo riscontro oggettivo (legame tra l'attrice, e la nuova
inquisizione).

Il carattere offensivo del libro "Lasciate che i Bimbi" non poteva non
essere palese al suo autore il che è sufficiente ad integrare l'elemento
soggettivo del reato di diffamazione.

Da ciò consegue la responsabilità civile dell'editore, società Castelvecchi,
ai sensi degli artt. 2059 c.c., 185 c.p. e 11 L.n.47/48 per i danni
cagionati all'attrice.

La dott.ssa Musti lamenta, altresì, la portata denigratoria di due testi
brevi, rinvenibili sul sito internet gestito dalla società Cybercore s.a.s.:
il primo intitolato "I Carlini di Satana", in cui si insisterebbe sul suo
atteggiamento persecutorio nei confronti degli imputati ("Lucia Musti e il
Tribunale del riesame vogliono comunque gli imputati in galera"), ed il
secondo intitolato "La verità è elettrica, e si diffonde, si diffonde, si
diffonde" contenente le osservazioni "a caldo" di Blisset dopo la prima
udienza del processo i Bambini di Satana, in cui verrebbero svolti gli
argomenti e le tesi poi ampiamente esposti nel libro "Lasciate che i Bimbi".
L'assunto può essere condiviso solo per quanto riguarda tale secondo
scritto.

Le frasi di cui la dott.ssa Musti si duole sono le seguenti "Cazzo, tutto
questo è già successo, questo processo è la fotocopia di quelli svolti negli
USA negli anni '80, stesse cazzate, stesse testimonianze, stessi errori da
parte di psichiatri, preti ed assistenti sociali, stessa cecità di
inquirenti e giornalisti. Ognuno di quei casi ebbe origine dalla mentalità
disturbata di una Simonetta, e dal fraintendimento dei farfugliamenti pre
verbali di un Federico trasformato dalla Lucia Musti di turno in una
crociata contro i fantasmi" ...."nelle ricostruzioni della vicenda si
insinua il dubbio - e anche qualcosa di più - che Simonetta sia
inattendibile, neurolabile e manovrata da Lucia Musti, che il piccolo
Federico sia shockato e strumentalizzato" ... "Repubblica ha poi
intervistato Dimitri (che per una volta si è difeso bene e ha puntato
l'indice contro il GRIS (Gruppo di Ricerca e Informazione sulle Sette ?
n.d.r. da pag.24 "Lasciale che i bimbi"); la Musti si è incazzata di brutto
e dichiarato all'ANSA che Dimitri non ha il diritto di rilasciare
interviste! Segnale premonitore di un esaurimento nervoso?)".

Evidente, anche in questo caso, è l'intento denigratorio dell'autore del
testo, come è chiara la sua volontà di fare apparire l'attrice come simbolo
dell'intolleranza religiosa e sociale, e di screditarne l'operato
descrivendola come magistrato privo dì equilibrio, e persona tesa solo al
perseguimento del proprio intento vessatorio nei confronti degli imputati.

Non altrettanto può dirsi del brano "I Carlini di Satana ovvero: un anno di
canditi allo Zolfo".
In questa occasione Luther Blisset ha illustrato, in chiave critica, le
modalità con cui il quotidiano "Il Resto del Carlino" ha seguito lo sviluppo
dell'inchiesta sui Bambini di Satana, ed il riferimento diretto all'attrice,
laddove si legge "Ma Lucia Musti e il Tribunale del riesame vogliono
comunque gli imputati in galera (.)" non appare superare i limiti del
diritto di cronaca in quanto l'autore, sia pure con toni aspri e con
espressioni prive di rigore tecnico giuridico; ha riferito un fatto vero e
cioè che il P.M. nel corso delle indagini chiese l'applicazione agli
imputati della misura cautelare della custodia in carcere.

Tanto premesso in fatto, si tratta ora di accertare se le società convenute
siano o meno responsabili della diffusione telematica degli scritti lesivi
dell'onore e della reputazione dell'attrice.

A tale proposito la società 2008 Comunicazione sostiene che quale service
provider con accesso alla rete internet, essa si era limitata ad ospitare,
in apposita diectory, il materiale immesso da Luther Blisset, al quale aveva
offerto gratuitamente lo spazio sul proprio sito "per affinità culturale e
di area, trattandosi di una delle voci più originali ed indipendenti della
scena italiana"; e che pertanto, non avendo il service províder alcun potere
e dovere di controllo sul materiale ospitato e redatto da altri, andrebbe
esclusa ogni sua responsabilità, per i fatti di causa, essendo la figura del
service províder paragonabile a quella dell'edicolante o del libraio,
rispetto ai quali non incombe alcun onere di valutazione e/o censura del
materiale posto in vendita.

Analoghe difese svolge la Cybercore, in merito anche alla non equiparabilità
della posizione del service provider a quella dell'editore. La stessa ha
inoltre eccepito l'assenza di qualunque profilo di colpa a proprio carico,
essendosi limitata a riprodurre, in via telematica, articoli gia pubblicati
sulla rivista "Zero in condotta" che; all'epoca, non erano stati oggetto di
alcun provvedimento giudiziario di natura sanzionatoria o cautelare.

Orbene, la responsabilità del provider (dall'inglese "fornitore") può essere
esaminata sotto diversi profili, e cioè con riguardo alla violazione del
diritto d'autore, del diritto alla riservatezza, alla diffamazione, o alla
violazione delle norme in materia di concorrenza sleale ecc..
La soluzione delle questioni di cui si discute non può prescindere
dall'esame dei compiti e delle funzioni espletate dai c.d. operatori della
rete internet.

Tali soggetti possono così essere classíficati: "access provider" (fornitore
di accesso) "service provider" (fornitore di servizi) e "content provider"
(fornitore di contenuti).

Il termine access provider individua il soggetto che consente all'utente
l'allacciamento alla rete telematica. Il compito dell'access provider è per
lo più quello di accertare l'identità dell'utente che richiede il servizio,
di acquisirne i suoi dati anagrafici e, quindi, di trasmettere la richiesta
all'Autorithy Italiana affinché provveda all'apertura del relativo sito Web.
L'access provider può anche limitarsi a concedere al cliente uno spazio, da
gestire autonomamente, sul disco fisso del proprio elaboratore.

Service provider è invece quel soggetto che, una volta avvenuto l'accesso in
rete, consente all'utente di compiere determinate operazioni, quali la posta
elettronica, la suddivisione e catalogazione delle informazioni, il loro
invio a soggetti determinati, ecc.

Content provider è, infine, l'operatore che mette a disposizione del
pubblico informazioni ed opere di qualsiasi genere (riviste, fotografie,
libri, banche dati, versioni telematiche di quotidiani e periodici, ecc.)
caricandole sulle memorie dei computers server e collegando tali computers
alla rete.
Content províder è anche chi si obbliga a gestire e ad organizzare le pagine
"web" immesse in rete dal proprio cliente.

Accertate, in via del tutto esemplificativa, le funzioni delle diverse
figure di providers, funzioni che possono essere svolte anche da un unico
soggetto, occorre stabilire se sia configurabile o meno la responsabilità di
tali operatori per gli illeciti commessi in via telematica.
Per quanto concerne la figura dell'access e del service provider, sia la
dottrina che la giurisprudenza tendono ad escluderla, equiparando il
provider ad un latore di informazioni, al quale non può addossarsi alcuna
responsabilità per il fatto che il servizio da lui fornito (l'accesso alla
rete internet), secondo l'impegno contrattualmente assunto, venga poi
diretto dall'utente al perseguimento di scopi contrari alla legge o lesivi
di diritti altrui (in tal senso: Trib. Cuneo 23.6.97, Milano Finanza Editori
s.p.a./STS Servizi Telematici di Borsa, LRC).

Diversa è la posizione del content provider, il quale - generalmente viene
invece riconosciuto responsabile per le violazioni di legge commesse
mediante il materiale immesso in rete, e tale orientamento va condiviso.

Ed invero, non può porsi in dubbio che il caricamento di un'opera nella
memoria del computer collegato in rete costituisca riproduzione, e che la
trasmissione da un computer ad un altro costituisca diffusione a distanza.
La responsabilità del content provider, per il contenuto lesivo degli
scritti resi conoscibili a terzi, trova, pertanto, la propria fonte nel
divieto del neminen laedere sancito dall'art. 2043 c.c..

Come è stato infatti osservato, il soggetto che produce o che gestisce
l'informazione, a causa del ruolo che riveste, non può ritenersi esonerato
dal dovere di controllo sulla legittimità delle informazioni immesse sul
proprio sito, obbligo di controllo che rientra nel più ampio dovere di
diligenza professionale che incombe su ogni operatore economico, quale
componente del rischio d'impresa.
Ma vi è di più. Il proprietario di un canale di comunicazione ed il gestore
del sito internet recante messaggi "on line" sono stati correttamente
equiparati agli organi di stampa in quanto, anch'essi, al pari degli organi
di stampa, riproducono un'opera. o uno scritto rendendoli accessibili ad un
pubblico di lettori (In tal senso si è espresso Trib. Napoli, ord. 8.8.97
est. Schisano, M. Cirino Pomicino s.p.a./ Geredil s.a.s. ed altri; sul tema
anche Trib. Cuneo, ord. 23.6.97 già citata).

Da ciò consegue la possibilità di applicare, in via analogica, al content
provider la norma dell'art.11 L. n.47/48 secondo la quale "per i reati
commessi col mezzo della stampa sono civilmente responsabili in solido con
gli autori del reato e fra di loro, il proprietario della pubblicazione e
l'editore".

D'altro canto, diversamente argomentando, si otterrebbe una ingiustificata
disparità di trattamento tra la tutela di diritti violati on líne e quelli
violati con altri mezzi di diffusione (off line) venendosi, inoltre, a
riconoscere la possibilità di esercizio, senza alcun controllo, di
un'attività che può essere fonte di danni di rilevante entità per il numero
potenzialmente assai elevato dei destinatari dell'informazione telematica.

Né può ritenersi, come sostenuto dalle società convenute, che la prospettata
estensione dell'applicabilità del citato art. 11, si porrebbe in contrasto
con il divieto di interpretazione analogica delle norme penali. L'opinione
sopra esposta attiene esclusivamente ai riflessi civilistici del fatto reato
e non porta ad estendere, in via analogica, al content provider la
responsabilità penale che l'art. 596 bis c.p. pone in capo all'editore per i
l delitto di diffamazione a mezzo stampa. Va ora verificato il ruolo, in
concreto, svolto dalle società convenute.

Come si è detto, la 2008 Comunicazione assume di aver assunto la veste di
mero service provider, per essersi limitata a concedere; attraverso la
creazione della relativa apposita directory, uno "spazio autogestito al suo
interno al movimento Luther Blisset".

Sennonché tale assunto difensivo è rimasto privo del benché minimo riscontro
ove si consideri che la suddetta società non ha neppure indicato il soggetto
con il quale avrebbe instaurato il rapporto posto a fondamento delle proprie
difese, atteso che, come è pacifico, il nome Luther Blisset non identifica
una persona fisica e neanche una persona giuridica. Né tanto meno ha provato
il contenuto degli accordi asseritamente conclusi con l'utilizzatore della
sua directory.
Ciò che risulta è unicamente la diffusione del libro "Lasciate che i bimbi"
tramite il sito gestito dalla 2008 Comunicazione s.a.s. il che, in mancanza
di elementi in contrario, porta a ritenere provato il diretto contributo
della detta società alla pubblicazione dell'opera via internet.
L'opinione che la 2008 Comunicazione s.a.s. abbia promosso l'opera e non si
sia limitata a concedere a terzi solo l'uso del proprio spazio sulla rete,
trova conferma anche nel fatto, peraltro pacifico, che la stessa ebbe a
pubblicizzare gli scritti di Luther Blisset, ponendo in luce il rilevante
numero di accessi alla directory in questione.
Analoga è la posizione della società Cybercore non essendo contestato che
detta società abbia dato diretta diffusione all'articolo diffamatorio "La
verità è elettrica, e si diffonde, si diffonde, si diffonde" pubblicato a
suo dire sulla rivista Zero in condotta, tant'è che allo stesso si accedeva,
come è pacifico, attraverso una voce dell'indice della "home page" del suo
sito, consultando la rubrica "Pedofilia: Sex on line prende posizione".

Le esposte considerazioni portano, dunque, a ritenere non solo l'editore
Castelvecchi ma anche le altre società convenute, responsabili del danno
morale causato all'attrice con gli scritti di Luther Blisset.

La risarcibilità dei danni lamentati non potrebbe, comunque, essere esclusa
anche nel caso che si volesse in ipotesi negare la sussistenza del delitto
di diffamazione ritenendosi configurabile solo una lesione dell'identità
personale, risarcimento non solo dei danni in senso strettamente
patrimoniali, ma di tutti i danni che, almeno potenzialmente, ostacolano le
attività realizzatrici della persona umana, con la conseguenza che alla
lesione di diritti di rilevanza costituzionale segue la sanzione
risarcitoria per il fatto in sé della lesione, indipendentemente dagli
eventuali effetti patrimoniali che la stessa possa comportare.

In tal senso si è infatti pronunciata la più recente giurisprudenza sia di
merito che di legittimità, che tende a dare ingresso alla tutela dei diritti
fondamentali della persona nel sistema della responsabilità civile, ed al
collegare il sorgere dell'obbligazione risarcitoria, al verificarsi di ogni
comportamento lesivo dei beni giuridici tutelati in via primaria, sulla base
di un concetto della patrimonialità del danno in senso ampio, comprensivo,
cioè, non solo del valore d'uso delle energie umane ma anche delle singole
qualità personali (sul tema: Cass. n.7713/00, n. 11103/98, n. 2576/96, n.
8286/96, Trib. Verona 26.2.96 est. D'Ascola).

La quasi contemporaneità della diffusione delle esternazioni diffamatorie di
Luther Blisset, l'identità del soggetto danneggiato e dell'interesse leso,
consente di individuare un danno unico non rilevando, in contrario, che le
singole condotte illecite abbiano influito, nel senso, non solo di porsi
come concause, ma anche di determinare un pregiudizio complessivamente
maggiore di quello che la singola condotta avrebbe posto in essere, non
escludendo siffatte caratteristiche la sostanziale unicità dell'evento
lesivo (tra le tante: Cass.5944/97).

Venendo alla determinazione del quantum, il danno subito dall'attrice nelle
sue diverse componenti, va liquidato equitativamente, all'attualità, nella
somma di £.80.000.000, comprensiva di rivalutazione ed interessi: somma che
appare adeguata alla situazione di grave sofferenza e disagio conseguente
alla divulgazione degli scritti lesivi della sua reputazione professionale e
della sua identità personale.

Pur ricorrendo i presupposti di cui all'art. 2055 c.c., la suddetta somma
non può essere posta a carico delle società convenute, in via tra loro
solidale, mancando una espressa richiesta di parte attrice in tal senso.

Considerata la portata lesiva delle diverse condotte appare equo porre
l'importo come sopra liquidato a carico della Società Castelvecchi Editore e
della 2008 Comunicazione s.a.s. nella misura di £.30.000.000 ciascuna,
ponendo a carico della Cybercore solo la restante parte di £ 20.000.000,
oltre agli interessi legali dalla data della presente decisione al saldo.
Va invece respinta la richiesta di liquidazione della riparazione pecuniaria
ai sensi dell'art. 12 L. n.47/49 aderendo, questo Giudice, all'indirizzo
giurisprudenziale secondo cui la menzionata norma, avendo funzione
sostanzialmente sanzionatoria, è applicabile solo dal Giudice penale
(Cass.pen. V, 20.11.90, Andreolli).

La società Castelvecchi va condannata al ritiro dal commercio ed alla
distruzione delle copie dell'Opera "Lasciate che i bimbi" attualmente
presenti presso le librerie del territorio nazionale e presso la propria
sede.

La società Castelvecchi potrà continuare la pubblicazione dell'opera solo
previa eliminazione del capitolo "Bambini di Satana: anatomia di una
montatura" e del paragrafo "il caso Dimitri è chiuso".
La società 2008 Comunicazione va condannata alla cancellazione del suddetto
capitolo e paragrafo dal sito www.2mila8.it.

La società Cybercore va, a sua volta, condannata alla cancellazione dal sito
www.Sexonline.cybercore.com/tortuga/satsta8.hmt., di quella parte
dell'articolo "La verità è elettrica, e si diffonde, si diffonde, si
díffonde", sopra riportata tra virgolette e di cui l'attrice si duole.

Venendo all'esame della domanda proposta dalla società Castelvecchi, la
stessa chiede che sia dichiarato l'obbligo solidale di Roberto Bui, quale
autore del libro "Lasciate che i Bimbi" e ciò ai sensi dell'art. 11 L. 47/48
" statuendo, con riguardo all'avversaria domanda di pagamento dell'intero,
in ordine alla ripetizione dovuta".

Come riportato in narrativa, il Bui contesta di essere l'autore dell'opera
in questione, assumendo di aver sottoscritto il contratto di edizione in
atti, non in nome proprio, ma quale mandatario con rappresentanza del
movimento collettivo "Luther Blisset".

Precisa che Luther Blisset è un "nome multiplo" che identifica una
collettività transnazionale i cui componenti comunicano tra foro
prevalentemente via internet e che lo statuto ideologico ed i referenti
culturali del Luther Blísset? Project sono di complessa identificazione: si
possono riconoscere linguaggi tipici della sinistra sociale antagonista,
tematiche riprese da recenti movimenti culturali, come il situazionismo,
stili ironici e beffardi da tempo propri della sinistra giovanile.
Deduce, altresì, che la società Castelvecchi era a conoscenza della natura
collettiva ed impersonale dell'opera in esame avendo, già in passato,
pubblicato il saggio Mind lnvaders sotto lo stesso marchio ed avendo, in più
occasioni, anche pubbliche, dì essere pienamente al corrente del movimento
in questione ed anche di condividerne gli scopi. Dal che l'infondatezza del
suo assunto di avere concluso il contratto di edizione ritenendo che Luther
Blisset fosse lo pseudonimo di esso Bui.
Eccepisce, inoltre, il Bui, che non avendo la Castelvecchi ancora effettuato

alcun valido pagamento per il titolo dedotto, mancherebbero i presupposi per
l'esercizio dell'azione di regresso proposta nei suoi confronti.

Tali tesi difensive non possono essere condivise.

Secondo quanto sostiene il Bui poiché l'opera "Lasciate che i bimbi" ha
natura collettiva ed impersonale, come ogni produzione attribuibile a Luther
Blisset, egli non potrebbe risponderne avendo sottoscritto il contratto di
edizione in nome e per conto del suddetto movimento culturale.

Ebbene, anche volendo ritenere, come è peraltro pacifico in causa, che
effettivamente l'eponimo Luther Blisset identifichi una collettività di
persone, non può porsi in dubbio che dell'opera generatrice del danno di cui
si discute dovrebbe rispondere la suddetta "collettività", e per essa,
quindi, i suoi singoli componenti trattandosi, per quel che sembra, di
un'associazione di persone.
Orbene, tenuto conto del suo comportamento e dell'attività da lui svolta
nella vicenda in esame, si ravvisano fondati motivi di ritenere che il Bui
facesse parte di quella collettività e ne condividesse gli scopi, tant'è che
non ha indicato alcun'altra e diversa ragione per la quale sarebbe stato
indotto a farsi portatore delle idee del gruppo.

Ma anche volendo prescindere da tale rilievo, occorre osservare che,
contrariamente da quanto assume il Bui, egli ha sottoscritto in proprio il
contratto di edizione in atti; qualificandosi espressamente come "autore"
del libro, senza spendere il nome del suddetto movimento, ma chiedendo
unicamente all'editore di inserire "il nome dell'Autore (e cioè il suo,
n.d.r.) in copertina e nel frontespizio" con la "dicitura ? Luther Blisset"
(v. doc.2 Castelvecchi).

Legittima è dunque la pretesa della società Castelvecchi a che il Bui venga
dichiarato corresponsabile dei danni in oggetto, ai sensi dell'art. 11
L.n.47/48.

Per quanto riguarda poi l'azione di regresso, il fatto che la società
Castelvecchi non abbia ancora soddisfatto le pretese risarcitorie
dell'attrice, non esclude che la stessa abbia interesse e titolo
all'accertamento dell'obbligo "solidale dell'autore Roberto Bui" ed alla
statuizione, "con riguardo all'avversaria domanda attrice di pagamento
dell'intero, in ordine alla ripetizione dovuta", dovendo tale domanda essere
interpretata quale richiesta della Castelvecchi di essere tenuta indenne per
quella parte di somme che sarà chiamata a versare in eccesso, rispetto alla
quota di sua spettanza.
Ciò posto, gli elementi acquisiti portano a ritenere che il Bui e la società
Castelvecchi Editoria e Comunicazione s..r.l. abbiano concorso in parti
uguali alla produzione dell'evento lesivo.

Roberto Bui va pertanto condannato a tenere indenne la suddetta società, nei
limiti del 50% di quanto essa verrà a pagare all'attrice per il titolo
dedotto, per capitale, interessi e spese. A norma dell'art. 120 c.p.c.,
quale contributo alla riparazione del danno, va disposta la pubblicazione
del dispositivo della sentenza, per una sola volta, a cura e spese delle
società convenute, sui quotidiani "La Repubblica" ed "il Resto del Carlino",
cronaca di Bologna, limitatamente ai capi che riguardano le società
convenute, con esclusione di quelli relativi al chiamato in causa Bui nei
cui confronti parte attrice non ha spiegato alcuna domanda.

Si ravvisano giusti motivi per dichiarare le spese di lite interamente
compensate tra il Bui e la Castelvecchi.

Le spese tra le altre parti seguono la soccombenza e vanno liquidate come in
dispositivo.

P.Q.M.

Definitivamente decidendo:

1)      dichiara che il capitolo "Bambini di Satana: anatomia di una
montatura" (pag.19-50) ed il paragrafo "li caso Dimitrí è chiuso" (pag.
105-107) contenuti nel libro "Lasciate che i bimbi - Pedofilia: un pretesto
per la caccia alle streghe" di Luther Blisset, edito dalla società
Castelvecchi Editoria e Comunicazione s.r.l., e diffuso via Internet dalla
società 2008 Comunicazione s.a.s. al Sito www.2mila8.it, sono lesivi della
reputazione e dell'identità personale dell'attrice Lucia Musti;

2) dichiara che l'articolo "La verità è elettrica e si diffonde, si
diffonde, si diffonde ", diffuso via internet dalla società Cybercore s.r.l.
al sito Sex on line (indirizzo:
www.Sexonline..cybercore.com/tortuga/satsta8.htrm) è lesivo della
reputazione e dell'identità personale dell'attrice nella parte indicata in
parte motiva;

2)      liquida i danni, subiti da Lucia Musti, per la causale di cui sopra,
nella somma complessiva di £.80.000.000 e condanna le società Castelvecchi
Editoria e Comunicazione s.r.l., Cybercore s.a.s, e 2008 Comunicazione
s.a.s. al pagamento, a favore dell'attrice Musti, del suddetto importo ma
ciascuna rispettivamente nei limiti, di £.30.000.000, di £.30.000.000 e di
£.20.000.000, oltre agli interessi legali dalla data della decisione al
saldo;
4) condanna la società Castelvecchi Editoria e Comunicazione s.r.l. al
ritiro dal commercio ed alla distruzione delle copie dell'opera "Lasciate
che i bimbi", attualmente presenti presso le librerie del territorio
nazionale e presso la propria sede;

5) la detta società potrà continuare !a pubblicazione dell'opera solo previa
eliminazione del capitolo "Bambini di Satana: anatomia di una montatura" e
del paragrafo "il caso Dimitri è chiuso";

6) condanna la società 2008 Comunicazione s.a.s. a cancellare il capitolo ed
il paragrafo di cui sopra dal sito www.2mila8.it;

7) condanna la società Cybercore s.r.l. alla cancellazione dal sito
www.Sexonline..cybercore.com/tortuga/satsta8.htrm, di quella parte
dell'articolo "La verità è elettrica, e si dìffonde, si diffonde, si
diffonde" riportata tra virgolette in parte motiva;

8) dichiara che Roberto Bui ha concorso, in misura paritaria con la società
Castelvecchi Editoria e Comunicazione s.rl., a cagionare il danno in oggetto
e conseguentemente condanna il Bui a tenere indenne la detta società di
quanto la stessa verrà a corrispondere all'attrice per il titolo dedotto,
per capitale, interessi e spese, nel limite del 50%;

        9) condanna le società convenute, in solido tra loro, al rimborso a
favore della Musti, delle spese di lite che liquida in complessive
£.11.780.000, di cui £.1.980.000 per esborsi e spese generali, £.2.800.000
per diritti e £.7.000.000 per onorario di avvocato, oltre IVA e CPA;

       10) dichiara interamente compensate le spese tra la società
Castelvecchi Editoria e Comunicazione s.r.l. ed il chiamato in causa Roberto
Bui;

       11) ordina alle società convenute, a loro cura e spese ed in solido
fra loro, la pubblicazione della sentenza per estratto, sui quotidiani, con
le modalità e limitatamente alle parti secondo quanto precisato in
motivazione.

Cosi deciso in Bologna il 14 giugno 2001.





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